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BTP green, è boom di richieste per il primo bond ‘sostenibile’ d’Italia

 

È stato un vero successo il debutto del primo titolo pubblico verde emesso dall’Italia. 

 

Ribattezzato il bond dei record, la domanda del nuovo BTP Green ha infatti superato ormai gli 80 miliardi a fronte di un’offerta iniziale di 8,5 miliardi: si tratta della più grande emissione obbligazionaria a scopo ambientale da parte di uno Stato appartenente all’Eurozona. 

 

Come suggerisce il nome, i BTP (Buoni del Tesoro Poliennali) green nascono con l’obiettivo di finanziare esclusivamente spese dal positivo impatto ambientale, prevedono un rendimento lordo annuale dell’1,5% (pagato in 2 cedole semestrali con data di stacco della prima al 30 aprile 2021) e una scadenza al 30 aprile 2045, pari quindi a 24 anni. 

 

È chiaro quindi che i numeri da record sono dovuti alla combinazione dell’ottimo tasso e del forte interesse verso il tema della sostenibilità. Più in dettaglio, secondo i dati riferiti dal ministero, in una prima fase hanno partecipato all’asta ben 530 investitori istituzionali, con una forte partecipazione estera: solo il 26% dell’emissione è, infatti, riconducibile ad investitori italiani.  

 

Il BTP green ha compiuto poi il suo esordio al MOT, il mercato telematico delle obbligazioni e dei titoli di stato di Borsa Italiana, ed è quindi oggi accessibile al pubblico dei piccoli risparmiatori. È possibile infatti acquistare il titolo anche attraverso la propria banca, andando in filiale o ricorrendo all’home banking se abilitati (codice ISIN IT0005438004).

 

A cosa serviranno i BTP green

 

Nel corso della conferenza stampa del Mef del 25 Febbraio scorso si è scesi nel dettaglio del modello che ha guidato l’emissione. Innanzitutto, il BTP green italiano seguirà le indicazioni dell’associazione internazionale dei mercati di capitali (Icma), ovvero i cosiddetti “Green Bond Principles”, standard seguiti a livello internazionale. L’utilizzo dei proventi raccolti aiuterà inoltre l’Italia a raggiungere anche gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU. 

Entrando nei dettagli, i macro-obiettivi ambientali dei titoli di Stato green sono:

1. Mitigazione dei cambiamenti climatici;

2. Adattamento ai cambiamenti climatici;

3. Uso sostenibile delle risorse idriche e protezione dell’ambiente marino;

4. Transizione verso un’economia circolare;

5. Prevenzione e controllo dell’inquinamento;

6. Protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi 

 

Trasparenza e rendicontazione

 

Per questi Bond è evidentemente considerata essenziale la trasparenza nei confronti del pubblico, e quindi la rendicontazione: gli investitori, specialmente in questo periodo, vogliono sapere come vengono spesi i loro soldi.

 

A tal proposito per l’emissione è stato istituito un Comitato Interministeriale il cui compito è di fornire le informazioni indispensabili sulle spese potenzialmente ammissibili al finanziamento. Il Comitato dovrà anche supportare il Mef nel tracciamento di queste spese per verificare il loro utilizzo e analizzarne a posteriori efficacia e impatto. 

 

Grazie a queste informazioni il MEF provvederà a pubblicare con frequenza annuale l’Italian Sovereign Green Bond Allocation and Impact Report, un documento che illustrerà l’allocazione delle risorse reperite, lo stato di avanzamento dell’erogazione delle somme e l’avanzamento della realizzazione degli interventi finanziati. 

 

Investire nella finanza verde: il punto in Europa

 

L’Italia non è sicuramente la prima nel Vecchio Continente a valersi di questo strumento, ma segue bensì un vero e proprio trend iniziato nel 2016 dalla Polonia, seguito poi dalla Francia (2017), da Belgio, Lituana e Irlanda (2018), dai Paesi Bassi (2019) e nel 2020 da Germania, Svezia e Ungheria. Per quest’anno si attende inoltre l’emissione di bond green da parte di Spagna, Danimarca, e Slovenia. Nel secondo trimestre 2021 è prevista anche l’emissione da parte dell’Unione Europea di obbligazioni verdi per un importo stimato di 225 miliardi. 

 

Va inoltre sottolineato che il lancio di un BTP green per l’Italia ha indubbiamente un forte valore simbolico. Prima di tutto, la transizione ecologica sembra essere ormai parte integrante del progetto portato avanti dal nuovo esecutivo per l’Italia del futuro. Infine, questa emissione arriva nel contesto di un G20 sotto la presidenza italiana, che punta una grossa fetta della sua Agenda sullo sviluppo sostenibile. 

  Antonio Cogliandro   Mar 27, 2021   Investimenti e Patrimonio, News   Commenti disabilitati su BTP green, è boom di richieste per il primo bond ‘sostenibile’ d’Italia Read More

Bisogna aver paura della Brexit?

 

Brexit sta per diventare realtà e la nostra economia dovrà presto fare i conti con i suoi effetti. Quali e quanti saranno? Nuoceranno alle nostre esportazioni? E all’agricoltura? Ecco i pronostici ​più probabili e qualche riflessione.

Brexit – fra sorpresa e confusione

Sta per compiere 3 anni il referendum che inaspettatamente decretò ​l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea per volere dei sudditi della regina. E non abbiamo ancora un accordo che regolamenti i rapporti fra la ”splendida isola” e gli altri 27 dell’Unione in questa nuova delicata fase storica! La bozza di concordato negoziata con l’UE – una volta scongiurata l’ipotesi di un’uscita ‘no deal’ ​(cioè, senza trattative), che si era paventata fino allo scorso mese di marzo – dovrebbe, infatti, essere presentata da Theresa May al parlamento britannico, contestualmente alle proprie dimissioni, per i primi di giugno.
E mentre le agenzie di stampa ci fanno sapere che hanno fallito anche i tentativi di intesa fra la premier di Downing Street e il leader laburista Jeremy Corbyn, e che la data dell’addio definitivo slitterà con ogni probabilità al prossimo 31 ottobre, ci si interroga su quali conseguenze potrebbe produrre in Italia la perdita della concittadinanza europea con Elisabetta II.
In particolare, quello che mi (e ci) interessa maggiormente è cercare di capire quali​ ​ripercussioni avrà la Brexit sull’economia del Belpaese​.

Post Brexit: cosa succederà all’economia italiana?

Fermo restando che l’economia, e ancor più la finanza, sono sempre coperte da un’ampia alea data dalle tante variabili in azione – e che, quindi, potrebbero verificarsi effetti imprevedibili (non necessariamente sempre sfavorevoli…) – direi che l’uscita dall’Unione di un mercato importante come quello britannico è destinata a produrre ​conseguenze non ​indifferenti​. Non fosse altro, per il fatto che venendo a mancare l’apporto sostanzioso degli Inglesi nelle casse dell’Ue, gli altri Stati Membri – Italia compresa – dovranno compiere uno sforzo maggiore per colmare il vuoto!

3 settori a rischio

A parte questo, ecco di seguito, con una semplificazione, i principali ​settori che ​potrebbero subire maggiori ripercussioni​, nel nostro Paese, all’indomani della Brexit:
– Finanza​. La Gran Bretagna è uno dei maggiori mercati mondiali di strumenti derivati – prodotti finanziari che, come dice il nome, derivano il proprio valore dall’andamento di altri asset, o indici, sottostanti. L’insieme dei contratti derivati sposta attualmente nella ​City

qualcosa come ​3 mila miliardi di sterline – metà delle quali prodotte da transazioni con contraenti USA e un altro quarto relativo ad accordi con partner comunitari. Nella peggiore delle ipotesi, in caso cioè di ​hard Brexit​, le banche inglesi – una volta perso il “passaporto europeo” – non potrebbero più prestare i propri servizi a soggetti degli Stati Membri; o almeno, non prima che vengano disposte normative nazionali ​ad hoc.​ Ma l’elaborazione di leggi in materia richiede l’impiego di tempo e competenze specifiche, e nello stato di non regolamentazione che intercorrerebbe nel frattempo, la finanza inglese potrebbe privilegiare le transazioni concluse con soggetti extracomunitari – USA ​in primis​.
– Migrazione (studenti e lavoratori italiani residenti in UK)​. Legato a doppio filo alle questioni economiche e finanziarie è poi il discorso dei cittadini Ue che soggiornano o risiedono sul suolo britannico per ragioni di studio e/o di lavoro. Se Londra infatti deciderà di dare corso a un’uscita “dura”, dando un giro di vite all’immigrazione (anche europea), allora dovrebbe anche rinunciare alla libera circolazione di beni e servizi che caratterizza costituzionalmente l’Unione, ripristinando ​in toto le barriere doganali.
Tornando a parlare di persone, mentre cambierebbe poco per i nostri connazionali (circa 600.000) che vivono attualmente nel Regno Unito,

subiranno le conseguenze più pesanti quelli che devono ancora trasferirvisi. E` probabile, infatti, che il parlamento britannico decida di introdurre delle ​quote all’ingresso di stranieri​, o che accordi una preferenza a coloro che abbiano già trovato lavoro oltremanica prima di partire. Inoltre, sarebbe ​a rischio per gli Europei anche ​il ​sistema di welfare​. A proposito degli studenti, poi, la Brexit potrebbe portare a un innalzamento delle tasse universitarie, che ora si aggirano mediamente intorno ai 10.000 euro annui, fino a oltre il doppio. E questo non sembra una conseguenza troppo favorevole per le famiglie italiane che mantengono i propri figli in una delle prestigiose università britanniche… Qualcuno potrebbe vedere in tali ostacoli all’immigrazione dei nostri connazionali verso una meta tanto ambita come la Gran Bretagna anche una eventualità potenzialmente vantaggiosa: il nostro Paese, cioeee, subirebbe meno fughe di manodopera e, soprattutto, di cervelli made in Italy. Se, però, nel frattempo non si sblocca il mercato del lavoro interno, certo ci sarà ben poco da gioire!

– Export e Agricoltura​. E` forse questo il terreno più “caldo”, per quanto ci riguarda, quando si parla dell’uscita del Regno Unito dall’Europa. La costante perdita di valore cui assiste la sterlina da tre anni a questa parte sta, infatti, già inducendo un sensibile calo delle esportazioni UE→UK.

E poi, c’è la questione della dogana: se l’accordo non dovesse mantenere l’unione doganale permanente, si passerebbe da un regime di libero scambio senza tariffa a un ​mercato con tariffa​, cosa che appesantirebbe inevitabilmente i prezzi dei beni. Inoltre, parlando del settore agroalimentare, andrebbero considerate anche le ​barriere non tariffarie – cioè nuovi e diversi ​standard ​di sicurezza fitosanitaria cui potrebbe essere necessario adeguarsi.
Anche se il ​prodotto italiano è ancora molto forte – in particolare, nei settori auto e macchinari, moda e, neanche a dirlo, ​cibo e bevande​! – la contrazione si fa sentire, soprattutto nei confronti dell’olio d’oliva, le cui esportazioni in UK hanno subito un vero e proprio crollo di quasi il 15%. Non sarebbe assurdo, a questo punto, ipotizzare che il terreno perso dalla nostra produzione agroalimentare possa essere occupato da Paesi concorrenti – europei e non – che si propongano economicamente più appetibili…

Un po’ di ottimismo

Va comunque detto, per rincuorarci, che le stime di blasonate ​agenzie di rating come Standard&Poor’s, vedono l’Italia come uno dei Paesi comunitari che rischierebbero meno dall’uscita del Regno Unito dall’Unione: l’​indice di vulnerabilità ​alla Brexit elaborato dagli esperti S&P ci fa infatti scivolare al diciannovesimo posto della classifica, ben al di sotto di Francia e Germania! 😉

  Antonio Cogliandro   Giu 05, 2019   News   Commenti disabilitati su Bisogna aver paura della Brexit? Read More